Così Maurizio Arduin cerca le razze antiche degli animali da cortile. E le salva - L'Indiana Jones di polli & C.
Corriere della Sera, lunedì 4 marzo 2019
“Sono un cercatore”. Maurizio Arduin si occupa da decenni di recupero della biodiversità zootecnica, gestendo il centro studi della ex Regia Stazione Sperimentale di Pollicoltura, un’associazione che si rifà all’esperienza di quell’ente che, dai primi del ‘900, cercava di selezionare le migliori razze per la produzione di carne e soprattutto di uova. Rovigo, e in particolare Lendinara, all’epoca era una sorta di hub proprio delle uova che dalle Marche, Emilia e Veneto, prendevano con il treno la via dell’esportazione in mezza Europa, dopo essere state selezionate e accuratamente imballate. La Règia Stazione, nata nel 1917, doveva essere la linea del Piave dell’avicoltura italiana, ruolo che mantenne di fatto fino agli anni ’50, con l’industrializzazione spinta del settore, e fino a quando la mannaia degli “enti inutili” calò anche, nel 1999, su un ente che proprio inutile non era. Negli ultimi decenni, infatti, la ricerca di biodiversità nel mondo della produzione animale è andata crescendo notevolmente, parallelamente alla ricerca di antichi vitigni, cereali e frutti legati a un determinato territorio. E l’avicoltura di qualità subisce gli stessi stimoli.
Così l’appassionata esperienza di Maurizio Arduin si focalizza nella sua attività di ricoperta. “Sono cercatore di antiche razze italiane, non sono ricercatore. Cercatore delle tradizioni e della sostenibilità dell’allevamento rurale di una volta, dissotterro tesori dimenticati, che erano davanti ai nostri occhi. Solo che nessuno li vedeva”. Arduin quindi, divorando chilometri come i polli il becchime, si mette a girare in lungo e in largo la Penisola per “dissotterrare” i suoi forzieri in uno svolazzare di piume e in un razzolare di colori e nomi dimenticati: “se parliamo della Valdarnese bianca, questa sicuramente è un tesoro – racconta – se pensiamo alla Bianca di Saluzzo o alla Bionda Piemontese, sono un tesoro.
Si tratta di razze antiche locali, che prendono origine dall’antica “razza italiana” e che si sono selezionate territorio per territorio: “come ci sono tanti tipi di uve che danno tanti tipi di vini, così abbiamo razze differenti che, legate a una determinata area caratterizzano le produzioni”. Arduin definisce l’<> in modo ampio: “penso a quelle razze che caratterizzavano le corti nell’800, allevate in particolare da anziani, donne e bambini”. Bionda Piemontese, Bianca di Saluzzo, Valdarnese, Trentina, si sono quindi “selezionate nel tempo su basi non scientifiche, ma alla fine si produceva con quelle che sopravvivevano meglio, con costi bassi e con una qualità costante e piuttosto alta”.
Come si riconosce quindi una produzione di pregio prima di consumarne la carne? “In genere le produzioni di qualità – racconta Arduin – sono vendute con il cosiddetto testa-zampe, quindi con ancora la testa e i colori delle penne del collo e la cresta, cosa che permette il riconoscimento della razza. Il mondo industriale commercializza pollo a busto, difficile da riconoscere se non c’è una tracciabilità amministrativa”. E ci mette a parte una sua considerazione: “Nel settore avicolo il prodotto biologico ha un prezzo inferiore al prodotto di qualità. Gli altri prodotti alimentari, che vedono la grande distribuzione alla base, prodotti di qualità più cari e infine i biologici con prezzo ancora più alto”. Chi alleva razze legate al territorio deve farle riprodurre, far crescere i pulcini, occuparsi della macellazione e portarle sul mercato, avendo in capo a sé diverse fasi della filiera, a differenza dell’allevamento industriale. Quindi la Bionda Piemontese e le sue cugine vantano una bandiera di biodiversità ma anche simbolo riconoscibile di cura molto attenta, quasi famigliare, di una produzione.
Per questo il curriculum dei tesori dissotterrati dal “cercatore” è così lungo e dettagliato: dal recupero e riconoscimento dei polli Pepoi a quelli di razza Ancona, Siciliana, Valdarnese, Italiana Cinque Dita, Grossa di Bologna, Gigante nero d’Italia, Cuca o Padovana comune, Brianzola. Ma anche il tacchino di Corticella, la faraona Camosciata, l’anatra Mignon, la Polesana bianca. Tutto questo, secondo Arduin, è il frutto di una sorta di folgorazione sulla via della Stazione di pollicoltura di Rovigo, o meglio del suo ingresso nel limbo in cui la ex Reale Stazione era stata relegata a partire dal 1972:” In quell’anno lo Stato mandò via il direttore e lasciò solo impiegati e operai a mandare avanti un’attività con cinquemila riproduttori di antiche razze italiane su cinque ettari, senza alcun indirizzo da parte del Ministero. beh questi operai e impiegati li consideravo di fatto gli ultimi giapponesi che ancora riuscivano a difendere le razze locali. Tutto quello che ho imparato, dopo essere approdato lì con una borsa di studio nel 1985, lo devo a loro.
Furono momenti di grandi esperienze – conclude Arduin – andammo persino a recuperare la gallina Ancona all’estero, in Austria, perché in Italia era sparita.
Con “recuperare” s’intendeva andare fisicamente a prendere gli animali da allevatori trattavano ancora, magari più o meno inconsapevolmente, portarli a Rovigo, e allevarli in modo del tutto tradizionale. Con la tappa successiva dal sapore di sfida, ossia “rimetterli sul territorio, restituirli là dove già erano di casa. Lo facevamo con soldi pubblici”. Quando la Stazione di Pollicoltura divenne “ente inutile” l’attività proseguì sul fronte privato, con collaborazioni tra regioni, allevatori, aziende private, e anche università: “Avevamo iniziato nell’85, parlavamo di conservazione delle razze e ci prendevano in giro, dicevano che perdevamo tempo. Oggi invece è di moda, e quando una cosa è di moda ecco che si trovano di nuovo finanziamenti, ma non vanno al pubblico”. Quello stesso pubblico che aveva ritenuto inutile mantenere in vita un’esperienza quasi secolare. Ma le galline in fuga possono sempre contare sul loro “cercatore di razze”, pronto a riportarle a casa nei pollai e a rimettere le cose a posto.
di Angelo Cimarosti