Monaci e agricoltura
La storia dell’agricoltura attraverso i disegni
I primi monaci cristiani sono presenti in Egitto alla fine del III secolo quando, uomini e donne si ritirano dal mondo per vivere in comunità. In Occidente i monaci si organizzano nella Regola di S. Benedetto (490-547), con principi e norme per la vita spirituale e materiale che si svolge prevalentemente all’interno dell’abbazia.
I monaci davano valore spirituale al lavoro manuale perché permette di collaborare e far crescere il senso di appartenenza alla comunità.
Nella Regola Benedettina per lavoro manuale si intende soprattutto la copiatura dei codici manoscritti e l’attività di piccolo artigianato. Il lavoro dei campi, fonte principale di sostentamento, è svolto dai monaci solo in situazioni di bisogno e povertà. L’organizzazione del lavoro agricolo cambia con i monaci dell’ordine cistercense.
Si inizia col regimentare le acque per bonificare i terreni e per avere all’interno del monastero le risorse necessarie per il consumo, l’igiene e le funzioni religiose. Segue l’intenso lavoro dei campi e l’allevamento per garantire prima di tutto il sostentamento della comunità:
Secondo la Regola i monaci “sono veramente tali quando vivono del lavoro delle proprie mani come i padri e gli apostoli”. Tuttavia, sempre secondo la Regola, “Il monastero, poi, deve essere organizzato in modo che al suo interno si trovi tutto l’occorrente, ossia l’acqua, il mulino, l’orto e vari laboratori, per togliere ai monaci ogni necessità di girellare fuori, il che non giova affatto alle loro anime.” Quindi i monaci svolgono il lavoro agricolo attorno all’abbazia, le terre lontane dal monastero sono affidate a coloni, mezzadri, affittuari. Cercano di possedere terre in luoghi climatici diversi, così da poter usufruire di beni agricoli diversificati e ricchi di materie prime differenti. I benedettini hanno poi rendite dai possedimenti terrieri come gli altri signori feudali e ricevono i benefici economici dalle chiese che sono sui loro terreni.
La scelta dei luoghi dove costruire una nuova abbazia è dettata da criteri precisi: la ricerca dell’isolamento, è attuata attraverso la predilezione per terreni incolti, abbandonati, boscosi e paludosi.
Le abbazie gestiscono anche aziende agricole e commende lontane. Oltre che di locali da lavoro erano dotate di cucina, refettorio, chiesetta, piccoli locali per gli ospiti ed erano recintate. Spesso erano specializzate in una produzione: cereali, viti, olive, nocciole, castagne, sale, allevamento.
Qui si svolgevano lavori domestici (cucina, pulizia, giardino) e ci si occupava di laboratori diventando un luogo ricco di esperti e specialisti delle attività agricole proprie di quella regione: quelli che oggi sono chiamati “centri pilota”.
Molti erano gli elementi che favorivano la buona riuscita dell’economia cistercense: la gestione diretta del patrimonio, un grande senso di responsabilità di monaci e conversi, la gestione oculata delle risorse, l’adattamento alle attitudini di ogni regione, il perfezionamento delle tecniche ricevute, la varietà e qualità delle produzioni, lo scambio di informazioni tra gli abati.
La dieta monastica era costituita principalmente da verdure, soprattutto fave, da pane generalmente fresco o biscotto, da uova in grande quantità, frutta secca, pesce. Altri alimenti ammessi, anche se di origine animale, erano, formaggio, burro e strutto.
Dopo aver prodotto tanto cibo, nell’eccellente economia monastica, occorre conservarlo per quei periodi dell’anno in cui la terra non dà frutti. Tanto più si vive in zone fredde tanto più è necessario disporre di cibo per i lunghi inverni. Salatura, asciugatura, affumicatura, cottura sono i metodi più diffusi per conservare. Uno dei prodotti più difficili da conservare era il latte, perciò la trasformazione in formaggio, specie quello a pasta dura, è il modo migliore per non sprecare l’eccedenza di latte.